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BOREDOM RAVERS

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Client

BOREDOM RAVERS

Production & Creative Direction

STUDIO MULIERIS

Nato durante un viaggio nell'entroterra sardo, il marchio di Cecilia Bortolazzi si nutre dell’energia sovversiva dei raver anni '90 per veicolare istanze sociali urgenti.

“Fondare un brand indipendente ed emergente oggi, significa dare la possibilità alle generazioni presenti e future di vestire consapevolezza,” afferma la designer, che progetta i propri pezzi unici in chiave genderless e rispettando attentamente i ritmi lenti di una produzione circolare e sostenibile—tutti i tessuti, infatti, provengono da dead stock di aziende italiane.

Ciao Cecilia, puoi parlarci un po’ di te? Come e quando ti è nata la passione per il fashion ? Hai sempre saputo che avresti fatto questo lavoro oppure si è sviluppato con il tempo? 

 

Ciao Sara, penso di dovere la metà a mia nonna materna. Sono cresciuta con lei, in una casa piena di amiche, clienti, macchine da cucire e abiti da sdifettare. Era una sarta pazzesca. Io, tre anni quasi compiuti: mi faceva chiudere gli occhi e mi dava in mano tessuti di cui dovevo riconoscerne la texture. Ho disegnato abiti sui muri del soggiorno, ho tagliato tende di casa per farci gonne. E schizzato complotti con l’idelebile nero sulle tovagliette da colazione.

Mi sono diplomata al liceo e mi sono trasferita a Milano dove ho lavorato e mi sono laureata in moda e comunicazione, lì, ho incontrato S., e l’altra metà la devo a lei. Ha saputo leggere la mia instabile attitudine alla protesta, alla liberazione e al diritto e ha orientato la mia sensibilità creativa. Poi mi dicono di dire che lo devo a me stessa, che studio tantissimo, leggo storicizzo e faccio letteratura di ogni avvenimento semiotico che mi passa sotto gli occhi o dentro il cuore. Ho sempre dato particolare attenzione a tutte quelle fasi storiche in cui l’archetipo si svelava e per cui gli abiti diventavano, per essenza o per eccesso, esigenza di voler dire qualcosa. Quindi, forse, posso dire di aver imparato inconsapevolemente a comprendere che la moda e i vestiti potevano essere il mio canale per divulgare messaggi inclusivi, sociali e liberi. 

Quando lavoro per me o per altri non penso tanto al corpo, o alla costruzione di un abito su di esso, quanto alla costruzione di significati che possono influenzare azioni e concezioni e come questi, con delicatezza, possano sfidare stereotipi di cultura. 

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Come è nato il progetto Boredom Ravers? Cosa ti ha spinto a creare un brand tuo? 

 

Boredom Ravers è nato dentro un viaggio in Sardegna con P. durante l’estate del 2020. Non so se ci sei mai stata nell’entroterra sardo ma credo che sia esattamente quel tipo di luogo dove ti si scardinano i plinti di certezza che hai. È una terra che, nella sua perfetta incontaminazione, cela e sottointende una ricchezza archetipa, ancestrale pregna di energia che credo non abbia tanti termini di paragone. 

Cercavo di dare nome e forma a un’intenzione. E lì l’ho trovata. Il Raving è stato uno degli ultimi miei feticci di studio. Sono appassionata e incondizionatamente attratta dalle subculture e credo che la Rave culture, nel suo significato più intrinseco ed originario, possa definirsi l’ultimo movimento che abbia davvero elargito e contaminato il mondo di messaggi di liberazione ed inclusività. 

Ed è proprio quello che voglio fare attraverso i vestiti. Raccontare storie e divulgare messaggi etici, inclusivi e sociali. Seguire e rispettare lo spessore delle impronte di chi sopra o prima di noi fa o ha fatto moda mi ha chiarito l’idea che nel 2021 non sia corretto manifestarsi in modi crudi, destrutturati o anticonformisti. Fare moda, non significa fare interventi a cuore aperto. Divulgare messaggi etici, inclusivi e sociali significa raccontare la realtà ed avere un brand indipendente ed emergente significa dare la possibilità alle nostre generazioni di vestire consapevolezza. 

 

Avere un brand indipendente, sostenibile, che rispetta ritmi di produzione lenta e si allontana dai meccanismi della sovrapproduzione é molto importante ai giorni nostri, ma allo stesso tempo molto costoso. Cosa vuol dire per una giovane donna cercare di creare un prodotto etico oggi? Ci sono stati dei momenti in cui hai pensato che era più la fatica del resto? In cui hai rischiato di lasciare tutto? E se sì, cosa ti ha fatto desistere dal farlo?

 

Dalle prime risposte posso risultare una ragazza decisa e sicura, in realtà, nascondo l’esatto contrario. Mi lascio indebolire in fretta dalle circostanze. E come spieghi bene tu, sopportare e mantenere un processo di sostenibilità, soprattutto tra i binari di incertezza nei quali vive la nostra generazione è, talvolta, demotivante. E non sto qui ad appesantirti. Cerco, invece, di ripetermi sempre che l’incertezza può trasformarsi in energia propulsiva, che quella che stiamo affrontando è una rivoluzione meravigliosa. 

La nostra generazione si sta dando una possibilità bellissima.

Sapere che con me esistono tante e diverse persone che provano a loro volta ad abbattere i meccanismi di sovraproduzione e sfruttamento è bellissimo. 

Fare del mondo un posto migliore e contribuire all’abolizione della violazione dei diritti umani non è un ideale è un diritto e per poterlo fare deve sussistere in noi, in me, l’idea che tutto quello che facciamo deve avere una ragione. 

 

 

Nella descrizione del brand ho letto che Boredom Ravers si batte per l’intolleranza razziale e la discriminazione sociale? In che modo?

 

Boredom Ravers è nato da non appena un anno, e sta procedendo secondo due binari paralleli.  

Da un lato si impegna per rispettare e curare al dettaglio le fasi di circolarità di produzione e con queste l’attenzione massima verso le persone coinvolte, dalla fase produttiva a coloro che mi autano quotidianamente; dall’altro cerca di profondere, tramite il design della stampa, messaggi empatici, anti-discriminatori e di liberazione.  

Ascolto mia madre e affermo che la cultura può salvare le cose e che, nella seconda metà del XX secolo, un errore di valutazione ha convinto che bastasse essere più belli e tirare avanti perchè il mondo sarebbe diventato un paradiso. Di plastica, però. Il medesimo errore è stato fatto sulla classificazione e la strumentalizzazione dell’ndividuo. Di quì, mi auguro di concretizzare un progetto sociale che permettera a BoredomRavers di sostenere e offrire riscatto con attività inclusive. 

 

Grazie MULIERIS per avermi dato la possibilità di tradurre anche a parole quello in cui credo.

Far parte e contribuire ad una realtà editoriale indipendente, attiva socialmente e di altissimo gusto è mega <3 

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