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Where are women in the alps?

  • Laura Rositani
  • 5 giorni fa
  • Tempo di lettura: 6 min


Where are women in the alps? È un gioco dell’oca, uno strumento ludico-formativo pensato per raccontare le storie dimenticate di alcune figure femminili dell’arco alpino. Si tratta di un progetto ideato da Stefania Sandoni e co-ideato assieme all’illustratrice Nadia Groff. Questa progettualità affronta in maniera apparentemente leggera e giocosa temi importanti come il suffragio universale, il corpo delle donne e i diritti umani. L’obiettivo è quello di scardinare gli stereotipi e offrire, attraverso le storie di queste donne, nuovi modelli di riferimento. Partiamo da un’idea: che tutti i giochi sono una cosa seria. Lo sono nell’impegno, nell’immedesimarsi in una parte, nella costruzione identitaria. Per questo credo che Where are women in the Alps? abbia una forza e una potenzialità effettiva nel saper innescare riflessioni e pensieri, tanto nelle bambine di oggi quanto nelle donne più cresciute. Uno degli aspetti che rende questo progetto così potente è che non esclude gli elementi più immaginifici: i desideri e i sogni legati ai modelli aspirazionali che racconta. Chi sono, allora, queste donne delle Alpi e come vengono narrate le loro storie attraverso il dispositivo ludico realizzato con Nadia Groff? Le protagoniste di questo gioco sono donne straordinarie che hanno lasciato un segno nella scienza, nello sport, nei viaggi, nell’istruzione e nella cultura, ma che la storia ha spesso relegato ai margini. Pioniere nei loro campi, intellettuali, scienziate, esploratrici e atlete: hanno aperto strade che oggi percorriamo quasi senza accorgercene. Qualche esempio? In Alto Adige, nel 1847, Wilhelmine Kofler-Grätzl fondò il primo kindergarten della regione, offrendo un aiuto concreto alle madri lavoratrici con il suo Kleinkinderbewahranstalt der Stadt Bozen. Katharina Prato, invece, con il suo libro Die süddeutsche Küche, rivoluzionò la cucina dell’Impero Asburgico, tanto che l’opera raggiunse l’ottantesima edizione nel 1957. Dalla Svizzera arriva Marie Heim-Vögtlin, pioniera della medicina e co-fondatrice del primo ospedale ginecologico svizzero. La viaggiatrice poliglotta Alma Ida Willibalde Maximiliana Karlin fu la prima donna europea a compiere in solitaria il giro del mondo, raccontando le sue esperienze in affascinanti scritti. Ma il gioco celebra anche figure contemporanee: Hanni Wenzel, sciatrice olimpionica, ha fatto la storia vincendo due ori nello slalom gigante e speciale ai Giochi di Lake Placid nel 1980, portando per la prima volta il Liechtenstein sul podio olimpico. E poi c’è Samantha Cristoforetti, astronauta e aviatrice trentina, prima donna europea a comandare la Stazione Spaziale Internazionale. Queste sono solo alcune delle protagoniste che il gioco fa conoscere: donne che hanno tracciato percorsi di libertà e possibilità. È grazie alla loro determinazione, alle loro lotte e al loro talento se oggi possiamo godere di diritti che a volte diamo per scontati. Raccontare le loro storie significa restituire loro il posto che meritano nella memoria collettiva e, soprattutto, ispirare nuove generazioni a sognare senza confini.



Da dove nasce l’idea del gioco dell’oca? L’ispirazione per questo gioco affonda le radici in un progetto realizzato qualche anno fa insieme a Nadia: un gioco dell’oca dedicato ad alcune donne della storia del Trentino. Il gioco dell’oca è un formato immediato e intuitivo, che permette di coinvolgere le persone in modo ludico, ma anche di creare spazi di riflessione. Da qui l’idea di un percorso a tappe, dove le caselle non si limitano a raccontare le storie di donne straordinarie delle Alpi, ma invitano anche a mettersi in gioco con quiz e momenti di riflessione su temi cruciali come gli stereotipi di genere, il gender gap, i pregiudizi e la sorellanza. Il filo conduttore è la parità, raccontata attraverso un’esperienza formativa che rende chi gioca protagonista, facilitando così un apprendimento più profondo e coinvolgente. C’è poi un elemento simbolico che caratterizza la struttura del gioco: le caselle si sviluppano in verticale lungo una montagna. Una scelta che richiama non solo il contesto alpino, ma anche il tema dell’assenza di donne nelle posizioni apicali e del cosiddetto soffitto di cristallo. Questo fenomeno sociale rappresenta l’insieme di ostacoli invisibili che impediscono alle donne di raggiungere posizioni di vertice, bloccandole proprio quando sembrano sul punto di farcela. Un soffitto trasparente separa le donne dagli obiettivi che potrebbero e dovrebbero essere alla loro portata, eppure, spesso, sono costrette a fermarsi o a fare un passo indietro. Forse, quel soffitto andrebbe infranto. Dopotutto, è di cristallo, non di cemento armato. E le protagoniste di questo gioco vogliono proprio questo: scalare la montagna, superare gli ostacoli e rompere quel soffitto una volta per tutte.  Nel sistema patriarcale nel quale siamo cresciute e che ancora viviamo quotidianamente, credo che il titolo del tuo progetto sia emblematico: dove sono le donne? Questa è una domanda che personalmente mi sono posta più volte negli ambienti culturali, di ricerca, soprattutto considerando le posizioni di potere occupate. In che modo pensi che Where are women in the Alps possa essere una breccia che scalfisce gli stereotipi e i pensieri societari intrisi di concetti patriarcali? " Perché non ci sono state grandi artiste?" È questa la domanda provocatoria con cui Linda Nochlin ha intitolato il suo celebre saggio, interrogandosi sul vuoto femminile nella storia dell’arte – e più in generale nella storia dell’umanità. Ma la vera questione è un’altra: le donne non sono forse capaci di ricoprire certi ruoli? Oppure è il sistema che, da sempre, le esclude? I dati parlano chiaro: in Europa solo il 35% delle posizioni nei Consigli di Amministrazione è occupato da donne e meno di un’azienda su dieci (appena il 7%) ha una CEO donna. In Italia la percentuale è ancora più bassa, ferma al 3%. Numeri allarmanti, che trovano una spiegazione nel sistema culturale in cui siamo cresciute, un sistema che ha da sempre relegato le donne a un ruolo marginale, imponendo loro un destino predefinito: essere madri, mogli, compagne o svolgere professioni considerate “tipicamente femminili” come la maestra, l’infermiera, la casalinga. Una vocazione imposta, non scelta. Eppure, basta guardarsi indietro per rendersi conto di quanto questa esclusione sia recente. In Italia, fino al 1963, le donne non potevano esercitare la professione di giudice. In Svizzera, il suffragio femminile a livello federale è stato introdotto solo nel 1971 e in alcuni cantoni addirittura nel 1990. Nel Liechtenstein, il diritto di voto alle donne è stato concesso soltanto nel 1984. Un passato prossimo, troppo vicino per essere dimenticato. Una storia recente, che è quasi il nostro presente. Ecco perché Where are women in the Alps è una breccia. Questo gioco riempie un vuoto perché la parola crea: la narrazione non è solo memoria, è costruzione di realtà. Parlare della storia delle donne significa riportarle finalmente alla luce, dare loro lo spazio che per troppo tempo è stato negato. Non si tratta solo di ricordare, ma di riscrivere il presente e immaginare il futuro. Ma il gioco non si ferma alla memoria: attraverso le card interattive, porta alla luce dati e realtà che ancora oggi definiscono il nostro mondo, invita alla riflessione, decostruisce stereotipi, ribalta pregiudizi spacciati per verità. Insegna a guardare con occhi nuovi. E, soprattutto, dimostra che le donne ci sono sempre state. Solo che, spesso, ci hanno insegnato che non siamo mai esistite. 


Se esiste, quale di queste donne delle alpi, è stata un tuo modello di riferimento importante per la tua crescita o anche scoperto nel corso della ricerca? Queste donne sono tutte profondamente ispiranti. Ognuna di loro ha lasciato un segno, un’eredità di coraggio e determinazione. Nadia le ha rappresentate con occhi grandi, sguardi intensi, tratti e colori non stereotipati. E noi le vediamo come sorelle. La sorellanza è uno dei motori di questo gioco, ma vorremmo che fosse anche un fondamento relazionale nella vita di tutte e tutti. Per troppo tempo le donne sono state spinte a competere tra loro, a vedersi come rivali anziché alleate. Naomi Wolf, nel Mito della Bellezza, racconta come la cultura patriarcale abbia imposto un unico canone estetico di riferimento e, più in generale, una visione della donna come vincitrice o perdente, come se esistesse una sola posizione possibile: sopra o sotto, prima o dopo, dentro o fuori. Ma la verità è un’altra: l’una contro l’altra non è mai la soluzione. Il problema non è la scarsità di spazio, di opportunità, di possibilità: è che per secoli alle donne sono state lasciate solo le briciole. Ma se adottiamo uno sguardo plurale, aperto, capace di accogliere e sostenere, allora possiamo cambiare il paradigma. Camminando insieme, anziché in solitudine, possiamo davvero riscrivere la storia. Ecco perché per me queste donne non sono soltanto figure del passato: sono compagne di strada, guide, scintille di un nuovo immaginario. Non c’è una sola donna che sento come riferimento assoluto, perché la forza non è mai nel singolo nome, ma nel coro. E il coro delle donne nelle Alpi, finalmente, si sta facendo sentire. 




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